Scassare l’urbanistica?
update. L’assessore ha risposto (?) ai critici: stanno per accrescere la loro managerialità.
Non sono certa di riuscire a rianimare stabilmente questo blogghetto però intanto ci metto l’articolo che è uscito oggi su Repubblica – Napoli (ma ripristinando almeno nel titolo del post la domanda che mi ha ispirato).
Un ufficio da rafforzare
Nel mondo di quanti si occupano di città – per mestiere, passione politica o affetto – ha destato sconcerto una notizia. La notizia che il Comune di Napoli smantella il suo servizio dedicato alla Pianificazione urbanistica. Poichè faccio parte del mondo citato, e per tutte le ragioni indicate, le considerazioni di Francesco Minisci pubblicate venerdì da questo giornale mi invitano a qualche riflessione ad alta voce che mi piacerebbe potesse entrare in un vero dibattito pubblico.
Provo a essere breve e dunque anche schematica e procedo per punti.
1. Mi pare comprensibile che l’amministrazione proceda a ristrutturazioni della macchina comunale che dovrebbero essere ispirate – insieme – a ragioni contabili e di efficacia dell’azione. Non trovo dunque necessariamente scandaloso accorpare l’urbanistica ad altri campi di politiche ma mi chiedo se sia proprio in quel settore che si nascondono sprechi e inefficienza. Più in generale, non mi è chiaro qual è l’architettura immaginata per una nuova macchina più sobria e più efficace.
2. Conosco personalmente parecchi dei cosiddetti ragazzi del piano, con i quali mi è capitato di collaborare come (spesso) di polemizzare e non considero quella squadra un mito intoccabile. Inoltre, anche i ragazzi prima o poi invecchiano e/o desiderano fare altre esperienze. Anche qui, tuttavia, è curiosa la leggerezza con cui si decide di disperdere un capitale umano e di competenze che innegabilmente si era cumulato.
3. Sono convinta da sempre che avrebbe molto senso accorpare i settori che curano urbanistica e edilizia – che nel Comune di Napoli sono invece separati fino dalla metà degli anni ’90 – con esiti che non definirei brillanti.
Per fare un solo esempio comprensibile anche ai non addetti ai lavori: in città sono affidate al settore edilizia (o ad uffici particolari) e non all’urbanistica, quasi tutte le forme cosiddette innovative di pianificazione attuativa che hanno fra i loro obiettivi primari di promuovere trasformazioni più integrate, e concertate con operatori privati. Dunque politiche almeno in teoria molto poco edilizie.
Nei fatti, come sa chi ha seguito negli anni le vicende, nel campo dell’innovazione dei processi Napoli non può certo vantare grandi successi e anche sui prodotti non manca la discussione.
Dunque, la riorganizzazione dovrebbe comprendere almeno qualche indirizzo su questo punto, di cui invece non mi pare di scorgere traccia (ma ovviamente potrei essermi distratta).
4. Da recenti dibattiti anche con operatori, appare chiaro che a Napoli, di questi tempi, nessuno è particolarmente interessato a un ripensamento generale del piano regolatore e che – anche chi ne critica impostazioni o singole soluzioni – è invece interessato più che altro alla sua attuazione. Da questo punto di vista ha senz’altro ragione chi sottolinea che occorrerebbe rafforzare l’Ufficio di piano, rendendolo una struttura in grado di implementare (e non solo di redigere) piani. Ovvero, il contrario di quello che pare stia avvenendo.
5. Prima o poi, però, anche il Comune di Napoli dovrà rivedere i suoi strumenti urbanistici e dotarsi di un vero Piano Urbanistico Comunale secondo la normativa (e la filosofia) della legge regionale (e di quasi tutte le leggi regionali italiane).
Si dovrà imparare a distinguere la parte strutturale del piano – più di scenario e “lenta” – da una parte operativa che includa i pezzi del disegno generale da attuare in tempi certi e in base a reali propensioni all’investimento di operatori privati e pubblici.
Da questo punto di vista, la cultura e l’apprendimento generati negli anni ’90 certamente non basteranno ma buttare alle ortiche la dote di partenza non sembra una mossa geniale.
Infine, se è consentita una nota finale personale, per un docente che da anni è impegnato nell’impresa (collettiva, faticosa) di costruire e radicare a Napoli – finalmente! – un percorso di studi specifico in urbanistica, l’idea che, di nuovo, a questo campo del sapere – e del fare – venga sottratta una identità riconoscibile è davvero frustrante.
L’amministrazione De Magistris, se proprio ci tiene, scassi pure.
Ma sarebbe bello che provasse a scassare quello che non ha mai funzionato (o ha fatto danni) piuttosto che pratiche e strutture che, tra mille difetti, costituiscono una potenzialità.
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ps. Sono molto grata agli amici di Repubblica per la tempestivissima e praticamente integrale pubblicazione del pezzo. Peccato solo che – per una volta – avevo aggiunto un * con la mia carica accademica (Presidente del corso di laurea in Urbanistica della “Federico II”) che invece manca.
Non ci tengo affatto, di solito, però dato il tema mi pareva una info utile e pertinente.
credits. L’immagine è un particolare da un antico pannello che dava conto del lavoro comunicativo svolto da un pezzettino del servizio pianificazione (la Casa della Città). Con un po’ pazienza, l’originale lo trovate qui.
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